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Proust, Marcel.

Scrittore francese. Figlio del docente universitario Adrien e di Jeanne Weil, proveniente da una ricca famiglia di Ebrei alsaziani, P. compì gli studi superiori a Parigi. Particolare importanza ebbe la figura di A. Darlu, che guidò la formazione filosofica del giovane Marcel indirizzandolo alla lettura di Kant, Platone e Schopenhauer. Seguì poi alla Sorbona i corsi di Diritto e di Scienze politiche. In quegli anni P. entrò nei salotti parigini di madame E. Strauss, della pittrice M. Lemaire e della principessa Matilde, raccogliendo l'immenso materiale di notazioni psicologiche che avrebbe formato il tessuto di Alla ricerca del tempo perduto e gli avrebbe consentito di presentare un articolato affresco di una società e delle sue dinamiche sociali, nei rapporti di opposizione e integrazione fra borghesia e aristocrazia. Nel 1896 diede alle stampe il suo primo libro, I piaceri e i giorni, raccolta di prose di occasione sofisticate e mondane; vi si possono intravedere in nuce quelli che saranno i temi del romanzo maggiore, sebbene ancora sfocati e in forma frammentaria, in particolare nell'analisi del carattere soggettivo dell'illusione amorosa o dei meccanismi psicologici della gelosia. Nonostante una lusinghiera prefazione di A. France, il libro fu accolto con freddezza. Di lì a qualche anno P. si schierò a favore delle tesi innocentiste nell'affaire Dreyfus. Di grande rilevanza, per la formazione di P., fu la scoperta dell'inglese J. Ruskin, di cui tradusse in francese due opere. Grazie a Ruskin P. si appassionò, tra l'altro, all'architettura e all'iconografia del Medioevo e maturò il suo ideale di opera d'arte in cui ogni particolare potesse al contempo nascondere e rivelare una superiore verità. Tra il 1896 e il 1900 P. lavorò a Jean Santeuil, un romanzo di natura autobiografica, una sorta di itinerario spirituale che venne pubblicato postumo nel 1952. L'opera, benché frammentaria e diseguale, prefigura in molte parti episodi della Ricerca, ma in essa P. non sembra aver ancora maturato la capacità di organizzare la materia in una struttura complessa. I personaggi del Jean Santeuil vivono e invecchiano senza che i loro destini si intreccino a formare una solida trama romanzesca. Solo nella Ricerca ogni particolare sarà subordinato a una struttura narrativa rigorosamente preordinata. Tra il 1903 e il 1905 P. perse entrambi i genitori, la cui scomparsa lo lasciò per anni in uno stato di prostrazione profonda. Nel 1906, provato da squilibri nervosi e da attacchi d'asma, pose fine alla vita mondana da raffinato intellettuale fin de siècle che aveva condotto fino ad allora: iniziò a vivere, così, in una totale solitudine, dedito unicamente alla realizzazione delle sue opere. Tra il 1908 e il 1909 iniziò Contro Sainte-Beuve, testo destinato a rimanere incompiuto e ad essere pubblicato postumo nel 1954. In questo libro, P. espose i suoi principi estetici, opponendosi al metodo critico di Sainte-Beuve che fondava i propri giudizi letterari su considerazioni biografiche. Il metodo di Sainte-Beuve implicava il problema del rapporto di un autore con la propria biografia: è sintomatico che prima di affrontare la redazione di quella che sarebbe stata la Ricerca, P. si preoccupasse di mettere in chiaro l'indipendenza dell'io biografico dall'io che scrive un romanzo, divisi l'uno dall'altro. A partire dal 1908, P. cominciò a lavorare alla sua opera principale, Alla ricerca del tempo perduto. Il primo volume, La strada di Swann, apparve nel 1913; fu stampato a spese dell'autore, poiché le più autorevoli case editrici dell'epoca si rifiutarono di pubblicare l'"opera dilettantesca di quel salottiere"; nullo fu il successo di pubblico. Il secondo volume, All'ombra delle fanciulle in fiore, (1918), gli valse il premio Goncourt 1919. Prima della morte di P. furono pubblicati I Guermantes e Sodoma e Gomorra; le ultime tre parti della Ricerca, La Prigioniera, La fuggitiva (Albertine scomparsa), Il tempo ritrovato, a cura del fratello e di J. Rivière, uscirono postume nel 1923, nel 1925 e nel 1927. ║ Alla ricerca del tempo perduto: è la ricostruzione di una vita, quella dell'io narrante, intesa come scoperta graduale del significato della realtà attraverso la memoria. Solo nella memoria, secondo P., l'uomo può cogliere le incessanti trasformazioni alle quali il tempo sottopone fatti, persone e sentimenti. In quest'opera (V. ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO) sono presenti motivi, atteggiamenti, tecniche espressive che via via sono maturati nel corso del Decadentismo, ma la novità e la complessità della Ricerca sono tali da renderne discutibile e improponibile la rigida catalogazione all'interno di un preciso movimento letterario. In effetti si tratta di un testo che, mentre accoglie e sintetizza il passato, lo arricchisce e lo trasforma, si colloca come punto di riferimento per il futuro; dopo P. i moduli narrativi nel contesto europeo non potranno più essere quelli che erano stati prima di lui. La novità fondamentale di P. consiste nella tecnica narrativa, nei moduli artistici con i quali fa rivivere il passato. Fra la grande produzione narrativa realistica e naturalistica e la Ricerca si inserisce l'esperienza del Decadentismo, il venir meno della fiducia nell'oggettività, la ricerca del fondo autentico della realtà al di là del fenomenico. Anche P. è convinto, sulla scia che va da Baudelaire al Surrealismo, che compito dell'artista è "liberare l'essenza delle sensazioni componendole, per sottrarle alla contingenza del tempo, in una metafora". Ma le sensazioni e le cose sono immerse nel flusso della transitorietà, sono sommerse dal tempo. Si tratta quindi di impegnare questa strenua lotta col tempo, di scavare nel proprio intimo e recuperare questo prezioso patrimonio del nostro io più autentico. Già Bergson aveva parlato di una coesistenza di passato e presente nella nostra coscienza, di un "tempo interiore" che dissolve le normali categorie spazio-temporali e dilata un momento e annulla invece un anno. Benché la sua concezione tragica dell'esistenza lo mantenga estraneo al sostanziale ottimismo di Bergson, P. concorda con il filosofo nella svalutazione della ragione scientifica, nel basare il rapporto di conoscenza del reale su procedimenti intuizionistici, alogici, cioè nel privilegiare aspetti della natura umana lontani dalla ragione. Bergson insiste sul fatto che è la conoscenza interiore, alla quale arriviamo non con l'intelligenza, ma con l'intuizione, che ci permette di cogliere nel profondo la realtà, soprattutto la realtà interiore nella quale il tempo non è puramente successione di istanti che si susseguono in un ben determinato ordine rettilineo, ma è invece durata, è processo fluido che conserva il passato e crea il nuovo. Anche P. si muove in questo senso e si affida, per il recupero memoriale, alle risorse dell'inconscio, alle sollecitazioni dei rapporti analogici. E così egli distingue tra memoria volontaria o intellettuale, che richiama alla nostra intelligenza elementi del passato ma in termini logico-razionali, senza restituirci quell'insieme di sensazioni e stati d'animo che di quel dato momento hanno fatto qualcosa di unico e di irripetibile, e memoria spontanea o sensoriale che, sollecitata da una sensazione casuale (un profumo, un sapore, una musica o una luce di paesaggio), ci tuffa nel passato con un procedimento alogico, che magari non ha la completezza di dati propria della memoria volontaria, ma ci permette di "sentire" quel passato in una dimensione di contemporaneità, di riviverne l'atmosfera e il sapore. È una memoria piena di vuoti, di aritmie, sprofondata nell'abisso di un passato che spesso non riconosce. Ma su questi inciampi è fondato il recupero memoriale della Ricerca. Da questa impostazione derivano tecniche narrative del tutto particolari e originali. I ricordi involontari riportano le cose in un esatto dosaggio di memoria e di oblio. Grazie all'oblio noi possiamo ritrovare l'essere che noi fummo, perché bisogna perdere per cercare di conquistare nel tempo ciò che nel tempo viene perduto. E si devono a questo senso di vuoto, di naufragio dell'io, a queste intermittenze, i momenti più alti e famosi della Ricerca. La complessa trama di vicende che occupa ben sette volumi non è più narrata oggettivamente nel suo naturale dipanarsi, nella sua successione cronologica, come avveniva ad esempio in Balzac e in Tolstoj, ma è tutta rapportata alla memoria. Ne deriva la distruzione del tradizionale tempo narrativo, un continuo trapasso dal presente al passato, un riandare da un episodio all'altro e da un ricordo all'altro, generalmente non contigui, ma separati fra loro da una distanza di anni. Questo modo di procedere non viene affidato a una caotica successione di sensazioni gratuite, ma obbedisce a un calibrato gioco di rispondenze e di echi, a un reciproco integrarsi fra le parti. Questo spiega la contemporanea presenza nello stile di P. sia di una componente analogico-evocativa (che si rifà direttamente alla lezione di Rimbaud e del Simbolismo) sia di una componente logico-razionale, cioè di un linguaggio analitico e preciso (fondamentale nella cultura francese). I periodi della Ricerca sono quasi sempre lunghi, lenti, involuti, ricchi di incisi e di subordinate, perché questo ritmo ha una precisa funzione espressiva, in quanto corrisponde al flusso continuo e dilagante del ricordo. Numerose subordinate, frequenti parentesi dilatano il periodo. È sbagliato ridurre P. a grande interprete dell'interiorità, a impareggiabile analizzatore dei meandri della coscienza, anche se questa dimensione fa parte della sua opera; P. ha anche offerto un grandioso affresco della società francese tra l'Ottocento e il Novecento attraverso le vicende di due gruppi sociali: l'aristocrazia e l'alta borghesia. La Ricerca contiene un'infinità di pagine dedicate alla caratterizzazione di ambienti sociali, dei loro gusti e della loro qualità di vita, pullulanti di personaggi magistralmente caratterizzati, sì da diventare emblemi di un'epoca. Tutte queste componenti sono riconducibili al retroterra culturale di P., cioè alle suggestioni che gli derivano non solo dalla grande tradizione del romanzo francese, da Balzac a Zola, ma anche dalla produzione memorialistica, dalla saggistica di costume di tanti autori del Seicento e del Settecento che avevano descritto dal di dentro il loro ambiente, restituendone appieno l'atmosfera. E tuttavia filtrare realtà e vicende attraverso la sensibilità dell'io narrante significava anche dissolvere la corposità e l'autonomia dei personaggi tradizionalmente intesi e dei dati oggettivi, e proiettare su tutto ciò atteggiamenti psicologici volta a volta diversi. Così Swann ci viene presentato, prima, attraverso le impressioni che il narratore ne aveva nella sua infanzia, poi, attraverso quelle ben diverse che ne ha da adulto; Odette de Crécy ci viene rivelata in una varietà di aspetti dovuta alle impressioni differenti dei vari uomini che l'hanno amata. E questo vale anche per i luoghi che si colorano di luce diversa a seconda delle angolazioni psicologiche dalle quali l'io narrante li contempla. Tutto ciò significa la morte del personaggio come coerente e unitario blocco psicologico, e lo spostamento di interesse dalla sua caratterizzazione alla rappresentazione della dinamica della coscienza dell'io narrante (Parigi 1871-1922).